Cronaca di un amore, recensione di Biagio Giordano

Cronaca di un amore, di Michelangelo Antonioni, con Massimo Girotti, Lucia Bosè, Gino Rossi, Franco Fabrizi, anno 1950, produzione Italia, genere drammatico, bianco e nero, durata 110 minuti.
Primi anni post bellici. Una bella donna milanese (Lucia Bosè) risulta sposata con un uomo ricco e anziano che è a capo di una florida azienda industriale di nome Fontana. La donna pur vivendo in un modo comodo, rispettato, e economicamente garantito, ha gravi crisi di identità, si sente comprata, anela a un amore vero, corrisposto.
L’occasione le verrà data, quando rivedrà un amico della adolescenza, un uomo fascinoso con cui aveva avuto a suo tempo una relazione passionale, tendente alla esclusività, un amore rimasto inconsciamente macchiato dal suicidio della fidanzata dell’uomo.
I due rivedendosi si amano di nuovo, nulla sembra essere cambiato tra di loro se non che lui è diventato nel frattempo povero e lei invece molto ricca. La donna vuole aiutarlo economicamente, lui appare reticente ma poi finisce per accettare.
La passione li divora di nuovo. E perciò non tutto sembra filare liscio, lui dopo gli incontri d’amore in un appartamento della periferia, si rende ogni volta conto che il rapporto così com’è non può proseguire: lei infatti lo possiede completamente, lui invece deve dividerne la vita col marito e la mondanità borghese.
Il marito ha fiducia in lei, però è geloso del suo passato, forse perché percepisce che la moglie gli nasconde qualcosa, che la sua personalità possa essersi scomposta a causa di traumi, ciò spiegherebbe l’assenza di una più vera comunicazione.
Ingaggiando un bravo investigatore il marito cerca di ricostruire quei fatti, probabilmente avvenuti nella adolescenza, i cui effetti hanno reso la moglie, in diverse situazioni di vita mondana, molto dispettosa, svagata e straniante.
La passione tra la moglie e l’amante è animata da potenti forze trasgressive tendenti a distruggere tutti gli ostacoli che via via si frappongono a quel incantevole ma rischiosissimo modo di esistere. La moglie, che ha inteso il senso dei turbamenti dell’amante, gli chiederà di uccidere il marito in modo da vivere il loro amore senza più impedimenti.
L’amante perplesso finisce poi per accettare, ma quando nel buio della notte aspetta armato l’arrivo dell’auto del marito, in un punto dove il mezzo deve rallentare perché vicino ha un ponte sul Naviglio, qualcosa va storto, l’uomo a un certo punto avverte in lontananza uno sparo e la caduta di un auto nell’acqua.
In quell’auto al volante c’era il marito, e nel cadavere, una volta estratto dall’auto, si noterà all’altezza del collo un buco come se fosse stato colpito da un proiettile.
Prima di ritornare dall’Azienda verso casa, il marito aveva ricevuto in ufficio l’investigatore ingaggiato per indagare sul conto della moglie, le nuove notizie di cui era venuto a conoscenza lo avevano irritato e sconvolto. Forse si era reso conto che a seguito di quelle nuove informazioni ricevute sua moglie non poteva mai appartenergli del tutto.
Quella morte del marito era dovuta a un suicidio o a un incidente? Riflettendo, poco importava ormai ai due amanti. Quella morte li allontanerà di nuovo, nel loro inconscio essi si sentiranno colpevoli: soprattutto per aver desiderato di anticiparla.
Tutto sembra di nuovo finito tra i due, perché l’amante non torna a casa, si fa accompagnare alla stazione da un taxi per partire verso un luogo contenente ciò che di misero gli era rimasto.
Film d’esordio di Michelangelo Antonioni che si cala in quella che sarà una sua costante, la cifra artistica che lo ha reso famoso: l’uso di codici visivi psicanalitici, abbozzati con acume e delicatezza, che alludono per ellissi a nodi psichici e storici non elaborati dai personaggi ma da loro vissuti spontaneamente lungo gli effetti più sintomatici che comportavano.
Grazie all’assenza di spettacolo lo spettatore sperimenta la potenza dell’empatia verso i personaggi, l’interesse per le loro sorti, in virtù di un linguaggio nuovo della macchina da presa capace di esaltare la drammaticità delle situazioni.
Le scene hanno per oggetto i rapporti passionali d’amore, quelli che nella loro parabola finiscono poi nelle pieghe malinconiche dell’esistenza più cruda imposta dal contesto storico.
Il modo di girare della macchina da presa, spesso preoccupata di inquadrare a lungo strade e cose privandoli di tracce di presenza umana, come a voler sottolineare una separazione drammatica avvenuta tra il sociale e l’individuale, rappresenta l’assenza tragica di qualsiasi forma di comunicazione tra classi diverse e all’interno di ciascuna di esse, a ridosso della fine della seconda guerra mondiale.
Tutti i personaggi sembrano privi di empatia tra di loro, dicono l’essenziale, spesso bruscamente …
Commento musicale di Giovanni Fusco (1906-1968), premiato con il nastro d’argento. Esordiente come Michelangelo nel lungometraggio. Due sassofoni più un pianoforti. Film culturale, riuscito, intelligente, e per lo spettatore ricco di emozioni nuove.
57339Large[1]

Cronaca di un amore, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-04-15T09:34:51+02:00da biagiord
Reposta per primo quest’articolo