Nascosto nel buio, recensione di Biagio Giordano

Nascosto nel buio, di John Polson, con Robert De Niro, Dakota Fanning, USA, 2005, thriller, 100 minuti
Dopo uno strano suicidio della moglie, uno psicologo (Robert De Niro) si trasferisce con la figlioletta in una casa isolata, fuori di una piccola città in cui nessuno li conosce.
La bimba appare spesso ossessionata da un nome, Charlie, che suo padre, psicologo, pensa sia una figura immaginaria, un essere fantasioso, frutto di un delirio, qualcosa di provvisoriamente necessario per attenuare l’angoscia. E’ un sintomo, con una sua logica psichica, creato dall’inconscio di sua figlia dopo la tragica morte della madre.
Charlie è una sorta di compagno confidenziale, necessario per ristabilire dopo il trauma un rapporto figurativo. Le cose però si complicano quando la bimba comincia a sostenere con insistenza che suo padre, ha ucciso la mamma.
Via via, sia nel bagno che nella stanzetta della bambina, accadono cose paurose che fanno pensare a una presenza terza nella casa, un essere reale con cui la bambina dialoga.
Film psichiatrico, clinicamente corretto, ricco di suspense e sorprese ben congeniate, con due ottimi attori protagonisti che credono in quello che fanno e non vogliono deludere lo spettatore.
Sceneggiatura pregevole. Lo spettacolo psichiatrico, su cui si basa il film, esige però dallo spettatore un prezzo compensativo, un obolo sacrificale per il mancato rispetto delle malattie mentali, (usate spesso dal cinema thriller come pura evasione): un prezzo che consiste nel farsi attraversare per lunghi momenti dall’abisso esistenziale della follia, senza chiudere gli occhi e prendendo coscienza dell’importanza, come appartenente all’opinione pubblica in una democrazia, della sua attenzione alle questioni legate alla follia.
Biagio Giordano

                                              taglioAlta_001623[1]

Nascosto nel buio, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-04-21T16:21:36+02:00da biagiord
Reposta per primo quest’articolo