Passenger, recensione di Biagio Giordano

Passenger, di Morten Tyldum, con Jennifer Lawrenz,Christ Pratt, M.Sheen, genere fantascienza, durata 116 minuti, produzione Usa.
L’astronave Avalon è diretta sul pianeta Homestead II dove esiste da tempo una colonia umana molto attiva che offre tra le altre cose, lavoro di alta qualità tecnologica, a possibili immigrati dalla terra.
Il viaggio dura 120 anni, a bordo ci sono 5.000 persone, tutte con motivazioni diverse, sistemate ognuna in appositi sarcofaghi da ibernazione controllati dal computer di bordo: prezioso cervello e cuore dell’astronave. I passeggeri sono in una condizione di sonno criogenico.
Il film inizia con una pioggia di meteoriti che colpiscono violentemente l’astronave, e non bastano le difese di cui è dotata l’astronave per questo genere di inconvenienti, la quantità di sassi e la durata del fenomeno fanno soffrire oltre misura l’astronave ferendola.
Dopo di ché qualcosa nell’astronave comincia infatti a non funzionare bene: robot addetti ai servizi si comportano stranamente, alcune porte rimangono insensibili ai comandi, e una persona ibernata si sveglia prima del tempo, si tratta dell’ingegnere meccanico Jim Preston che non tarda a capire cosa può essere successo. L’uomo esplora l’astronave e nota varie anomalie, ed è subito preso dall’angoscia della solitudine finché scopre la piacevole compagnia del barista Arthur, un robot parlante che sa fare anche conversazione.
Dopo circa un anno il peso della solitudine per Jim diverrà sempre più pesante tanto da costringerlo a compiere quello che per l’epoca era considerato un grave reato: far uscire dallo stato di ibernazione un’altra persona. Sceglierà, dopo averne letto la storia, una bellissima giornalista scrittrice, Aurora Lane, una passeggera che intendeva scrivere un libro sulla vita di Homestead II per far conoscere ai terrestri postumi rispetto alla sua generazione le realtà meno note e curiose del pianeta. Quando Aurora verrà a sapere di non essere stata risvegliata a causa di un guasto, ma per una decisione di Jim, andrà su tutte le furie, malmenando il buon Jim come se fosse un delinquente.
Come si scioglieranno i complicati nodi psichici ed esistenziali della prima parte del film costruiti dalla sceneggiatura per i protagonisti e i passeggeri, (ignari dei pericoli), in funzione del divertimento dello spettatore?
Questo film affronta temi nuovi della fantascienza, riguardanti alcune conseguenze del viaggio interplanetario di lunga gittata, quello che dura anche 240 anni, e che squilibra la vita generazionale di chi viaggia destinandoli a un ritorno sulla Terra affettivamente asettico, ossia riabbracciando non le vecchie conoscenze con cui si è vissuto per un certo periodo, ma esseri umani del tutto nuovi nati durante il lungo viaggio interplanetario (120+120 anni) affrontato dai passeggeri del film.
Aspetto questo che spinge l’umano dei passeggeri del film oltre ogni orizzonte conosciuto dall’esperienza terrestre, dando all’inconscio uno statuto di funzionamento nuovo, con formazione di sintomi inediti tendenti ad ambire alla soddisfazione di desideri originali rispetto a ciò che accade nelle dimensioni del tempo racchiuso nell’immaginario terrestre, aspetto questo che in un certo senso può portare a sconfiggere la morte, intesa come pensiero su di essa: sua rappresentazione sulla terra.
Ma, sembra dire il film, la nostalgia è in agguato e la pulsione dei ricordi vissuti sulla Terra, segnati dalla onnipotenza infantile legata all’Edipo e dalle bellezze naturali formatesi in piena armonia con la nascita umana avvenuta nella natura stessa, possono far regredire il viaggio verso altri mondi spegnendo la sete di cimentarsi in avventure interplanetarie.
Biagio Giordano
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Passenger, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-06-07T10:18:50+02:00da biagiord
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