Venere in pelliccia, recensione di Biagio Giordano

Venere in pelliccia (La venus a la fourrure), di Roman Polanski, con Emmanuelle Seigner, M. Amalric, produzione Francia Polonia, anno 2013, drammatico, durata 96 minuti.
“E l’onnipotente lo colpi e lo consegnò nelle mani di una donna”. E’ l’epigrafe di Venere in pelliccia romanzo (1870) di Leopold von Sacher, Masoch, di tendenza erotica sadomasochista. Un romanzo che un volenteroso regista, poco noto, vuol mettere in scena con mezzi di fortuna, utilizzando uno scadente locale periferico.
Alle deserte audizioni di prova si presenta all’improvviso, e in ritardo, Wanda (Emmanuel Seigner), una donna matura e sfatta, grossolana, trasandata, mal vestita, dal linguaggio invadente. Wanda dalle apparenze sembra inclinata verso il sadico.
Il regista, cercava tutt’altro, rimane perciò deluso e imbarazzato.
Ma Wanda, che vuol giocare sui contrasti apparenza-realtà, a poco a poco si trasforma, dimostra di avere una buona cultura, ben digerita, conosce perfettamente la sua parte legata al romanzo, e mescola con arte, realtà e finzione, capovolge i ruoli tra regista e attore, tra padrone e schiava, uomo e donna, fino a creare una situazione erotica di grande suggestione che indica la strada, il modo, con cui va interpretato visivamente il libro per un lavoro teatrale di qualità, rispettoso dei tempi moderni.
Il film è un gioco di specchi dove una polarità pulsionale richiama l’altra opposta. Polanski fa recitare alla Seigner (sua moglie nella vita da 24 anni) molti ruoli in uno e Amalric suo alter ego le tiene testa, battuta dopo battuta. Attori giusti, splendida fotografia di Pawel Edelman
Biagio Giordano

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Venere in pelliccia, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-10-05T12:18:56+02:00da biagiord
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