Son of a gun (Figlio di una pistola), recensione di Biagio Giordano

Son of a gun (Figlio di una pistola), di Julius Avery, con Brenton Thwaites, Ewan McGregor, anno 2014, genere azione, produzione Australia, durata 108 minuti.
In prigione per un reato minore che prevede sei mesi di carcere (tre mesi eventualmente con la buona condotta) il giovane Jesse Ryan, sensibile ai torti che subiscono i suoi compagni di cella, si mette subito nei guai difendendo dei principi.
Un giorno rischia di perdere la vita perché massacrato di botte da chi cerca di emarginarlo, salvato, passa sotto la protezione del criminale Brendan Lynch che aveva già previsto tutto. Brentan è amante degli scacchi, ed era rimasto impressionato da Jesse quando questi gli aveva suggerito alcune mosse vincenti.
Brendan è uno dei più pericolosi fuorilegge dell’Australia, leader indiscusso della sua banda, si è ben organizzato e uccide con forte determinazione.
Uscito dal carcere Jesse, di animo buono ma condizionato dagli eventi patiti in carcere, si vede costretto a ripagare il debito di vita contratto con il criminale Brendan. Dovrà quindi favorire, come concordato, la fuga di Brendan dal carcere.
Ciò avverrà con l’ausilio di un elicottero, ma a caro prezzo. Il piano ha una lacuna e anche se alla fine riuscirà comporterà un sanguinoso scontro armato con gli uomini della sicurezza del carcere.
Jesse, fuori nella vita civile, rimarrà fedele al proprio spirito buonista, e alla prima occasione, dopo un furto di lingotti d’oro voluto da Brendan, cercherà una vita normale fuggendo con la propria ragazza che ama verso la libertà e la vita per bene.
Il film solleva la questione della disumanità delle carceri australiane, dove anziché essere rieducati con successo alla vita civile, si rischia, sia dentro che fuori le mura, di diventare militanti di bande criminali ben organizzate.
Questione di mentalità e carenza di investimenti pubblici, che fan si che convenga di fatto allo Stato, a dispetto della costituzione, considerare il carcere un luogo di sola pena con repressione di quei godimenti estetici di base cui l’uomo tende per natura. Il carcere non viene di fatto considerato uno spazio-tempo finalizzato a un programma di riabilitazione sociale.
Le sbarre ad esempio potrebbero essere benissimo sostituite da vetro infrangibile e di buon spessore, ancora più sicuro delle sbarre, consentendo un godimento di luce,e una non più totale separazione visiva con il libero ambiente esterno, cosa che favorirebbe la nascita di un forte desiderio di ritornare nella vita civile cambiati verso il bene.
Film ben diretto (felice esordio di Julius Avery) e di buon spessore drammatico grazie alle convincenti recitazioni dei due attori che incarnano i personaggi protagonisti della storia. Approvato dalla critica.
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Son of a gun (Figlio di una pistola), recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-04-26T10:45:55+02:00da biagiord
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