Strangerland, recensione di Biagio Giordano

Strangerland (Terra straniera), di Kim Farrand, con Nicole Kidman, Hugo Weaving. Australia irlanda, , 2015, drammatico, durata 112 minuti.

La famiglia Parker, Catherin e Matthew insieme ai figli Lily e Tom si sono trasferiti a Nathgari una piccola città nel deserto australiano povera di tutto. Fuggono da pettegolezzi e cattiverie plebee suscitate da una relazione avuta dalla figlia minorenne Lily con un adulto che l’ha sedotta colpito dalla sua bellezza provocante.
Ma non tutti i membri della famiglia sono contenti di questa decisione, si tende a far pesare la non facile scelta di trasferirsi, alla figlia Lily che a sua volte reagisce, in segreto, trasgredendo via via ogni convenzionale condotta di buon costume, fino al punto di mettersi in guai molto seri.
Una notte infatti i due bambini Tom e Lily escono di casa senza più rientrare, la cosa lascia sgomenti i genitori, e comincia così la disperata ricerca dei ragazzi. Solo Tom verrà ritrovato, shoccato e disidratato, incapace di parlare, steso ai bordi del deserto. Dirà poi balbettando, ancora paralizzato dal senso di colpa, che sua sorella è salita di notte su un’automobile e che non l’ha più vista, e che lui anziché impedire alla sorella di salire sull’auto è rimasto, debole, rassegnato, a guardare.
Un diario di Lily verrà trovato dalla madre, che leggendolo scoprirà cose raccapriccianti sul comportamento della figlia, avvenute in parte proprio in quella città, tanto da rimanere sconvolta e depressa, con un senso di colpa che aprirà il suo inconscio in profondità nuove. Libererà ciò che era costretta a tenere rimosso per rispettare nel vivere quotidiano regole e codici dei costumi morali dominanti. L’inconscio aperto metterà a nudo quella cifra della sua vita che per troppo tempo era stata mascherata dalle buone maniere indotte.
Ottimo film culturale, sui temi dello straniero, degli abusi sessuali verso minorenni che vivono in famiglie problematiche, sul funzionamento sintomatico dell’inconscio rispetto alla forza delle convenzioni sociali che lo opprimono. Un film privo di ogni tecnica di intrattenimento, che vuole colpire per i contenuti che trasmette, e con un ottima fotografia da atmosfere. Quest’ultima appare sempre preoccupata di non mettersi al centro della scena, cioè di non togliere spazio e tempo al linguaggio visivo prosaico dei drammi messi in campo, per non cadere in un virtuosismo estetico pena la distrazione dello spettatore dal dramma.
Un grande esordio alla regia per Kim Farrand, donna di talento, che dopo il fallimento al botteghino del suo film spera nella televisione, dove la circolazione dell’opera sembra già mietere qualche successo.
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Strangerland, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-04-28T13:47:33+02:00da biagiord
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