Prima linea, recensione di Biagio Giordano

La Prima linea, regia di Renato De Maria, scritto da Sergio Segio, anno 2009, Italia, con Riccardo Scamarcio, Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Rongione, Michele Alhaique, Lucia Mascino, Francesca Cuttica, Dario Aita, genere drammatico, durata 96 minuti.

Torino, carcere Le nuove, novembre 1989, un uomo di 35 anni racconta la propria storia, è Sergio Segio uno dei fondatori del gruppo armato Prima linea, la più forte organizzazione estremista dopo le Brigate Rosse.
Sergio Segio è entrato in clandestinità a metà degli anni ’70 nella convinzione che l’uso della violenza armata contro le istituzioni borghesi fosse una scelta necessaria per catalizzare l’attenzione del popolo oppresso e dargli coscienza della necessità di giungere a compiere una rivoluzione culturale, sociale, politica, economica, giudiziaria, caratterizzata da un nuovo umanesimo.
Diversi saranno i morti e i feriti, anche tra le fila di Prima linea, ma l’isolamento politico totale cui andranno via via incontro i suoi militanti, compreso quello dei rappresentanti delle classi lavoratrici e di tutti i partiti dell’arco costituzionale, favorirà l’insorgere nel gruppo del fenomeno del pentitismo, e con esso, (grazie anche alle leggi speciali in vigore all’epoca sul terrorismo), l’arresto di buona parte dei militanti di Prima Linea (931) e la fuga all’estero dei rimanenti.
Segio sarà condannato all’ergastolo ma uscirà dopo 22 anni di detenzione, nel film ricorda i giorni del suo arresto e prima ancora l’atmosfera pregnante di un giorno particolare, il 3 gennaio del 1982: Segio è a Venezia dove ha convocato, per una importante decisione da prendere, un gruppo di militanti, che diranno si a un’azione ad alto rischio per la propria incolumità: far evadere dal carcere di Rovigo quattro detenute di Prima Linea, tra le quali Susanna Ronconi, la donna di Sergio (con cui ha condiviso sogni, progetti, politica), usando 50 kg di esplosivo sistemato a ridosso di una parete esterna del carcere dietro la quale, in uno spiazzo controllato, i detenuti escono giornalmente per l’ora di aria.
Prima di raccontare la giornata dell’evasione, Segio rivede i momenti più importanti della sua vita: il primo incontro con Susanna, la condivisione con essa della clandestinità, il complesso rapporto coi genitori, lo scontro doloroso di idee con Piero l’amico più importante con cui ha condiviso pensieri esistenziali e politici ma con cui non si è trovato d’accordo sui metodi di lotta da attuare nell’ambito della politica.
I ricordi sono molto coinvolgenti, sopratutto per l’atmosfera drammatica in cui sono spesso inseriti, essi si susseguono con crescente tensione fino a giungere alla descrizione finale dell’evasione dal carcere di Rovigo, il punto più alto delle tensioni storiche scelte dal film, una liberazione che pur riuscendo sarà tragica, essa comporterà infatti l’uccisione accidentale di un passante pensionato, che camminava con il cane al guinzaglio nei pressi del muro interessato dall’esplosione, un uomo del tutto innocente, ignaro di ciò che stava per accadere.
L’evasione, eseguita si con bravura ma in modo troppo dilettantesco e senza alcuna copertura istituzionale, (necessaria quest’ultima nella delicata fase del ritorno dei militanti nelle loro ignote sedi), farà si che il cappio territoriale della polizia si potrà stringere sempre più intorno al collo del gruppo terroristico.
In breve tempo il partito armato verrà sgominato.
Interessanti i pensieri legati a rimorsi di coscienza che, secondo il film, affliggono a un certo punto Sergio Segio, il quale si domanda come sia possibile lottare per un mondo migliore ricco di umanità compiendo azioni terroristiche come quelle a cui aveva partecipato, che colpendo all’improvviso persone indifese e lasciandole morenti sul terreno dimostravano di essere del tutto prive di pietà. Quelle azioni lo hanno fatto sentire strada facendo sempre più disumano; le immagini di cui erano composte continuavano a rimbalzargli cinicamente nella mente, si imponevano come spaventose maschere di dolore e di terrore impresse sui volti delle vittime, suscitate dal primo colpo di arma da fuoco, con il quale esse sapevano che stavano per morire.
A quella domanda Segio non riesce a dare risposte, la polarizzazione schizoide vissuta nella carne e nel pensiero tra l’umano e il disumano lo ha paralizzato nella mente e nel cuore.
Ma egli in qualche modo ormai sa del fallimento di cui è stato protagonista e testimone, ossia che non si possono compiere rivoluzioni senza scienza politica e il sostegno delle masse dei cittadini.
Film di notevole impatto drammatico, privo di congegni letterari elaborati, crudo e secco come le intenzioni rivoluzionarie dei militanti di Prima Linea, intenzioni sorrette da una potente ideologia, quest’ultima però sostenuta nei militanti da forze psichiche di origine inconscia, formatesi chissà dove e chissà quando fino a divenire una tempesta di odio perfetta. Quanto si conosce colui che mette in pratica ideologie utopiche con l’escatologia della morte?

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Prima linea, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-05-02T08:55:55+02:00da biagiord
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