Il ponte delle spie, recensione di Biagio Giordano

Il ponte delle spie, di Steven Spielberg, con Tom Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan. 2015, USA, thriller, 2 ore e 22 minuti.

1957, prosegue la guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, tra gran parte del mondo capitalista e gran parte del mondo comunista.
Avvocato americano di assicurazioni, James Donovan, di notevole forza caratteriale e intelligenza professionale, ha il difficile compito di difendere una spia russa di nome Rudolf Abel (è l’attore Mark Rylance premio oscar per l’interpretazione) ufficialmente pittore, che comunicava notizie delicate al proprio paese attraverso minute pellicole inserite all’interno di monete opportunamente trattate. La spia sovietica rifiuta di collaborare con il governo degli Stati Uniti cosa che, diversamente, gli avrebbe consentito una libertà vigilata e l’ottenimento della residenza negli Stati Uniti.
A questo punto la spia rischia la condanna a morte.
Il giudice del tribunale prima del processo invita l’avvocato Donavan a tagliar corto con le normali e lunghe procedure di difesa in quanto il fatto è ampiamente provato e di estrema gravità per la sicurezza nazionale. Donavan non demorde e fa lavorare il cervello per inventare, sul problema difesa, soluzioni credibili in grado di soddisfare, seppur un po’ paradossalmente, anche le parti accusatorie.
Donovan fa capire ai vari interlocutori che con Abel vivo si hanno più vantaggi che svantaggi, perché un giorno egli potrebbe decidere di collaborare col governo, e forse potrebbe anche diventare una importante pedina di scambio.
Alla fine del preprocesso le istituzioni giudiziarie e politiche convengono che è meglio lasciare in vita Abel, in quanto anche in Unione sovietica operano spie americane, che, se catturate, diventerebbero oggetto di un possibile scambio. Spie, tra l’altro, che contrariamente a quanto disposto dalle autorità, la storia dimostrerà non essere per lo più disposte a suicidarsi (come avrebbero dovuto utilizzando una apposita pastiglia letale) quando catturate dalla polizia sovietica.
Abel sarà condannato a 30 anni di reclusione. La sua difesa costerà a Donovan grossi guai: l’opinione pubblica gli diventa ostile. Durante il processo, Donovan riceve intimidazioni di ogni genere, anche con colpi di arma da fuoco sparati sulle finestre aperte di casa, il tutto al fine di abbandonare la difesa.
Donovan ligio alla Costituzione statunitense non lascia il caso e propone uno scambio con una spia americana, un certo Francis Gary Powers, un pilota il cui aereo di ricognizione-fotografica, un Lockheed U2, è stato appena abbattuto nel territorio sovietico e lui anziché ingerire la pastiglia per sopprimersi si è lasciato catturare.
Powers sarà condannato in Unione Sovietica a 10 anni di reclusione, e rimarrà inviso per viltà all’opinione pubblica americana per molto tempo, ovviamente per non aver fatto fino in fondo il proprio dovere di militare.
La procedura di scambio viene avviata a fatica, non sembra per niente facile, perché i sovietici si sentono svantaggiati: Abel sapeva molte più cose importanti di quante poteva saperne Powers pilota spia giovanissimo che agiva solo dall’alto dei cieli con macchine fotografiche poi distrutte dai sovietici.
I sovietici tra l’altro, che dispongono della spia Powers da poche settimane, hanno ricavato da lui, sottoposto a forme di tortura non fisiche ma psicologiche, quasi nulla, e pensano invece che Abel spia molto matura, scaltra, operante sul territorio statunitense da tempo, possa aver dato, dopo la cattura, informazioni molto importanti sui sistemi di sicurezza della nazione sovietica.
Lo scambio a un certo punto sembra naufragare, ma il fatto che avrebbe dovuto avvenire nella Germania del Est, precisamente nella Berlino comunista, quindi in una nazione terza, riaprirà inaspettatamente le carte in gioco per tutti, perché anche Berlino ha da dire la sua.
Film con congegni narrativi di alto livello, che consentono una perfezione nello scorrimento dei numerosi episodi: tutti ben intrecciati e chiari. Il film si avvale di una superlativa interpretazione di Mark Rylance nella parte della spia sovietica Abel, cosa che gli è valsa il premio Oscar per la recitazione.
Finale troppo positivo, che esalta e afferma quelli che ritiene essere i migliori valori della famiglia media americana, dandoli quasi tutti come consolidati e pienamente operanti.
Biagio Giordano

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Il ponte delle spie, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-05-04T22:56:19+02:00da biagiord
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