Ancora sul film La tenda rossa, commento di Biagio Giordano

La tenda rossa (Красная палатка / Krasnaja palatka) è un film storico-drammatico, del 1969 diretto in modo superlativo da Mikheil Kalatozishvili.

Il film è ispirato alle vicende della famosa e tragica spedizione polare del dirigibile Italia nel 1928, comandata dal generale Umberto Nobile, il cui scopo era quello di raggiungere (dopo il precedente successo di Amundsen), il Polo Nord per la seconda volta, facendo scendere per primi degli scienziati sui ghiacci. Il dirigibile una volta raggiunto il Polo Nord avrebbe dovuto rimanere sospeso in aria ancorato sui ghiacci.

Il dirigibile Italia raggiunse, grazie a uno staff scientifico alla guida del mezzo di tutto rispetto, il Polo Nord, e lanciò sui ghiacci la bandiera italiana, ma a causa dell’improvviso e grave peggioramento delle condizioni atmosferiche, Nobile decise, subito dopo aver fatto scendere la bandiera, di non mettere in pericolo la vita dei suoi uomini, e di ritornare alla non lontana base nordica da cui erano partiti per centrare l’obiettivo finale.

Ma era ormai troppo tardi, forse bisognava aspettare, rinunciare prima a portare a termine la missione, quando il peggioramento delle condizioni atmosferiche nella zona dell’obiettivo era data come possibile.

Il dirigibile, in balia della tempesta, perdette quota e parte della cabina andò a frantumarsi sulla banchisa di ghiaccio, dopodiché il dirigibile riprese quota e si allontanò con alcuni uomini a bordo verso l’ignoto.
Dei superstiti sopravvissuti all’impatto sulla banchina di ghiaccio, facevano parte il comandante Nobile, il marconista Biagi, un bel cagnolino, e altri 5 membri dell’equipaggio…

Grazie alla riparazione della radio di emergenza, la cui resistenza elettrica rotta venne genialmente sostituita con la grafite di una grossa matita, il marconista Biagi dopo innumerevoli tentativi riuscì a lanciare un messaggio di soccorso.
Ma il segnale era debole perché le batterie a causa del ghiaccio patito avevano un basso voltaggio. I silenzi nella attesa di una risposta erano per i superstiti interminabili.

Sarà solo un giovane radio amatore russo, attraverso una antenna aquilone, a intercettare il debole segnale di richiesta di soccorso dei naufraghi; il segnale grazie al cielo era stato captato in modo completo, comprendendo quindi anche le coordinate geografiche che localizzavano la posizione precisa della tenda rossa dei superstiti. La notizia fa il giro del mondo.

L’entusiasmo in Italia sarà particolarmente grande, si riaccendevano le speranze di salvare i superstiti,e di stringersi di nuovo con orgoglio nazionalista intorno alla grande impresa di Nobile.

Dalla Russia parte la nave rompi giaccio Krassin che però dopo un lungo percorso perde per avaria un motore; con un solo motore il comandante non se la sente di proseguire e si ferma intenzionato a ritornare indietro al più presto per salvare la vita dei suoi uomini.
Tramite la loro radio i superstiti verranno anche loro a conoscenza del blocco della nave Krassin, al che essi ripiomberanno nella più cupa disperazione.

Stranamente i progetti di salvataggio del gruppo di Nobile subiscono a quel punto una stasi, sia in Italia che all’estero il salvataggio viene dato come troppo rischioso, nessuno se la sente di partire; ma quel rischio sarà vero?

Saranno i soldi, ossia la prospettiva di “buoni” affari privati, come spesso accade tutt’ora, a risolvere il problema del recupero dei superstiti.

La compagnia di Assicurazione della vita di Nobile, di fronte alla prospettiva di dover sborsare una grossa cifra per la probabile morte del generale Nobile, assolda un abile pilota, con il preciso compito di riportare vivo Nobile. Sull’aereo, oltre al pilota c’è posto solo per un passeggero. Il pilota raggiunge fortunosamente il gruppo dei superstiti. Nobile però in un primo momento rifiuta di salire sull’aereo, propone quindi di far salire l’uomo più malconcio.

Il pilota nasconde abilmente lo scopo della sua missione, e assicura Nobile che l’ordine che ha ricevuto è di salvare il comandante per portarlo a dirigere il salvataggio di tutti dalla base da cui erano partiti.
Nobile, dopo un tormentato conflitto con la sua coscienza, cede, salirà su quel aereo e si salverà, non immaginando quanto quel gesto li peserà poi per tutta la vita.

Il film immagina uno dei tanti modi figurativi con cui poteva svolgersi nella mente del generale il senso di colpa per quella vicenda, i cui strascichi lo vedevano al centro di pesanti illazioni, accusato da molti illustri personaggi di vigliaccheria: soprattutto per aver abbandonato da comandante l’equipaggio.

Il regista in questo film inventa un Processo giudiziario, messo su dallo stesso generale Nobile. Ossia un congegno letterario che consente uno sviluppo delle varie questioni etiche sollevate da quel tragico evento. Il generale Nobile appare oppresso dal senso di colpa, e cerca di dare risposte a se stesso positive ma nello stesso obiettive rispetto alle numerose domande suscitate pubblicamente da quella tragedia.

E’ un uomo alla ricerca di un Processo giudiziario immaginario che ha come referente solo la sua coscienza, spera inconsciamente in una sentenza di assoluzione verso se stesso.
E’ una ricerca ossessiva, costante, praticamente interminabile, forse viziata dal desiderio di giustificare tutto, razionalizzare l’evento in nome di una logica superiore di cui era, in missione il sovranista, l’incarnazione divina della nazione, e trovare finalmente pace.

Nobile quindi chiama a raccolta, per essere giudicato, gli spiriti dei defunti, tutti quelli aventi a che fare da vivi, in vari modi, con quella tragica vicenda.

Il verdetto dopo una lunga e paziente ricostruzione dei fatti sembra per un momento ridare pace alla coscienza di Nobile: 50% fattori di colpevolezza, 50% di assoluzione, ma subito dopo un testimone immaginario che riflette pensieri inconsci farà pendere l’ago della bilancia verso la colpevolezza: portando Nobile a ricordare che la sua decisione di salvarsi per primo dai ghiacci non era legata del tutto a idee razionali atte a salvare la vita degli altri, ma che da qualche parte nella sua mente albergava anche un’idea parassita, banale, del tutto autoreferenziale: l’idea cioè che presto, allontanandosi da quel posto infernale, avrebbe fatto una bella doccia calda…

Nobile quindi permane nel film, dopo il Processo da lui stesso allestito, in uno stato di colpevolezza: 49% i fattori di assoluzione, 51% i fattori di colpevolezza.

Film con una sceneggiatura di grande spessore culturale, montato egregiamente, con una fotografia straordinaria constatabile nel verismo che essa imprime alle scene del nubifragio e dei successivi eventi più drammatici, quest’ultimi sono sempre di eccezionale coerenza con i costumi di vita e le conoscenze scientifiche di allora…

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Ancora sul film La tenda rossa, commento di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-05-05T09:34:50+02:00da biagiord
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