Trauma, recensione di Biagio Giordano

Trauma, di Dario Argento, con Christofer Rydell, Asia Argento, James Russo, Frederic Forrest, Brad Dourif, produzione Stati Uniti-Italia, casa di produzione First look studios, anno 1993, genere thriller, durata 112 minuti.
New York. Il film. Prima scena, in uno studio medico una dottoressa di colore dopo aver aperto incautamente la porta viene aggredita da uno sconosciuto dalle sembianze maschili. L’uomo la decapita con uno strano aggeggio meccanico a forma di martello, un’arma micidiale, che una volta attivata intorno al collo della vittima non si può più fermare, il collare tagliante si stringe progressivamente vincendo ogni resistenza anche quella del complesso osseo cervicale fino allo stacco della testa.
Seconda scena, Aura (Asia Argento) figlia di immigrati rumeni fugge sconvolta dall’Ospedale psichiatrico dove era in cura sotto la direzione del dottor Judd per una grave forma di anoressia. La donna cerca di liberarsi da una vita divenuta ormai impossibile, e, disperata, decide di buttarsi giù da un ponte. Viene salvata da un giornalista televisivo di nome David che poi si innamorerà di lei, corrisposto. L’uomo della provvidenza l’accompagna a casa e in seguito le starà sempre vicino.
La madre di Aura, personaggio ambiguo che vuol far credere di essere una medium, la rimprovera severamente per la fuga dall’ospedale, considera infatti il suo gesto del tutto irresponsabile perché coinvolge pesantemente l’intera famiglia. Per punizione la madre la chiude in una stanza.
Alla sera si svolge, durante un temporale, una drammatica e scomposta seduta spiritica, la madre sembra percepisce nella trance in cui è caduta, la presenza dell’assassino della dottoressa di colore uccisa all’inizio del film, lo sconvolgimento è tale che sia la madre che il padre di Aura escono di casa e fuggono senza meta dentro il buio della notte che avvolge ogni cosa, in quella tetra atmosfera troveranno la morte per mano di un assassino che li decapita senza pietà.
La figlia Aura che li aveva seguiti, intravede a una certa distanza l’assassino, egli ondeggia, come fosse un trofeo di guerra, le due teste dei genitori. Il volto dell’omicida rimane invisibile, coperto com’è da una delle due teste. Aura stremata avverte tutta la sua impotenza.
Aura e David rimangono terrorizzati per quanto accaduto, ma non appaiono per niente arrendevoli. Con l’aiuto di un ragazzino miope, vicino di casa dell’assassino che ha assistito di nascosto a un omicidio avvenuto con l’abituale strumento a martello, indagano sul sanguinoso caso e, rischiando più volte la propria vita, trovano a un certo punto una pista importante, che porta a sospettare di personaggi importanti del mondo ospedaliero psichiatrico: percorrendola coraggiosamente si avvicineranno sempre di più alla soluzione del caso.
Ma individuare l’assassino basterà? Forse no, perché occorrerà probabilmente anche salvare la propria vita, e far catturare l’omicida, nonché dare un doveroso contributo scientifico alla criminologia cercando di capire perché egli ha commesso così tanti omicidi e soprattutto perché li ha commessi in quei modi così insoliti e truci.
La tentazione di Dario Argento, di ottenere successo negli Stati Uniti girando a New York un film thriller-horror di sicuro effetto in virtù di idee non molto distanti da quelle che hanno portato a progettare il film Profondo Rosso in Italia, è stata grande, ma non possibile, erano necessari infatti alcuni compromessi, uno con la casa produttrice First look Studios, uno con la cultura perbenista, puritana, statunitense, che a distanza di 20 anni da Profondo rosso avrebbe potuto non apprezzare più un provvisorio viaggio trasgressivo nelle perversioni umane più legate all’omicidio e espresse con codici visivi già ampiamente usati e quindi conosciuti.
Ecco allora comparire in questo film l’amore fra i due protagonisti, lo scavo dei personaggi, e un linguaggio fotografico altro, non più solo affezionato ai guanti neri, agli impermeabili lucidi, alle perturbanti marionette associate a un omicidio imminente, ai grossi coltelli scintillanti e impregnati di sangue, alle donne feticcio assassine con abiti maschili, alle suggestive musiche dei Goblin. Tutte espressioni linguistiche di sicuro effetto horror ma che appartenevano ormai al passato, e non potevano quindi essere più ripetute se non modificando sostanzialmente l’impianto scenico, aspetto quest’ultimo che obbligava a mettere in campo codici visivi sperimentali a grande rischio.
Dario Argento ha cercato con una insolita, colta e meditata moderazione un equilibrio tra horror e thriller, cosa del tutto impossibile da realizzare perché per far ciò occorreva un linguaggio nuovo, tutt’ora da inventare per quei due generi presi in una logica di fusione, per farlo occorreva per lo meno passare attraverso una prima fase di sperimentazione, un tempo quindi molto più lungo e che l’urgenza del guadagno di un industria cinematografica sempre più incollata ai film fotocopia rendeva impossibile.
Biagio Giordano


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Trauma, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-05-05T17:31:05+02:00da biagiord
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