Psycho -1998 -, recensione di Biagio Giordano

Psycho (1998), di Gus Van Sunt, con Vince Vaughin, Julianne Moore, Anne Heche, Usa 1998, thriller, durata 109 minuti, colore.
Fedele remake del film in bianco e nero di Alfred Hitchcock del 1960. Un omaggio al grande regista inglese, con numerose scene simili per contenuti e forma, a quelle del vecchio Psycho.
Il colore però, come si sa, distrae l’occhio da ciò che nell’inquadratura si voleva far risaltare al meglio. In questo film il colore toglie molta drammaticità e interesse fantasmagorico al racconto, perché non consente all’occhio dello spettatore di concentrarsi subito visivamente sui particolari più importanti delle scene, quelli che il bianco e nero riusciva (per la natura stessa del suo sistema capace di far risaltare texture e forme geometriche) a mettere in rilievo senza alcuna difficoltà, impressionando l’inconscio che chiudeva poi ogni finestra critica sulla finzione rafforzando il senso di realtà nello spettatore.
Film sulla follia, quella che può nascere nella istituzione della famiglia americana, là dove normalità e anormalità, sancite da secoli di tradizioni puritane (già con origini europee), strutturano un super-io inconscio particolarmente severo, che non sopporta l’anormalità se non al prezzo della follia misconoscente, quest’ultima a volte generatrice di omicidi.
Debole nel film la descrizione da parte dello psichiatra del caso clinico di cui è affetto il folle matricida protagonista del film, essa appare troppo catalogata, tipicizzata, meglio avrebbe fatto uno psicanalista, che di solito è più attento ai meccanismi psichici prodotti dall’inconscio, quelli che strutturano diversi sintomi della follia matricida.
Biagio Giordano

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Psycho -1998 -, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-05-25T16:22:20+02:00da biagiord
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