La tregua, recensione di Biagio Giordano

La tregua, regia di Francesco Rosi. Un film con Claudio Bisio, John Turturro, Massimo Ghini, Rade Serbedzija Teco Celio, Roberto Citran. Genere drammatico, produzione Italia, Francia, Germania, Svizzera, anno 1997, durata 126 minuti.

Dal libro (1963) di Primo Levi, sceneggiato da F. Rosi, S. Rulli, S. Petraglia e Tonino Guerra.
Il 27-1-1945 i soldati russi arrivano a Buna-Monowitz (Polonia), una delle 39 sezioni del lager di Auschwitz (Oswiecim). Alla fine di febbraio il chimico ebreo torinese Primo Levi (Turturro) comincia insieme a un gruppo di italiani, anch’essi scampati al forno crematorio, il lungo viaggio di ritorno a casa, che durerà quasi otto mesi: tra destinazioni fuorvianti, o equivocate, treni fantasmi attesi da giorni su binari abbandonati da chissà quanto tempo, fame, forme di odio come residuati di guerra, soste ispettive, lunghe avventure a piedi verso luoghi ipotizzati come esistenti solo dal sentito dire.
E dopo un viaggio in treno di 35 giorni il 19-10-1945 Primo Levi riesce ad arrivare a casa, a Torino.
Il film. Auschwitz è ricoperta di neve ed abbandonata dai nazisti in fuga che hanno distrutto tutta la documentazione delle loro atrocità appena compiute, agli occhi dei soldati russi appare uno spettacolo angosciante: centinaia di poveri esseri umani appaiono depressi, denutriti, storditi, fino a poco tempo prima rassegnati anche alla morte, essi con una specie di tuta a righe si aggirano come bonzi tra i reticolati dei lager.
Inizia così La tregua, il film di Francesco Rosi, film giudicato negativamente dalla critica perché privo di quel soffio poetico che caratterizza invece il libro, divenuto col tempo sempre più un prezioso documento di narratività e storia.
Un film di fatto risultato anche di scarso interesse per il pubblico.
John Turturro veste i panni del romanziere Levi, che racconta il lungo viaggio di ritorno da Auschwitz. Il viaggio, cominciato il 27 gennaio 1945, si concluderà il 19 ottobre a Torino, dopo il passaggio avventuroso in Polonia, in Romania, in Ungheria, in Austria e in Germania. Questo film costato venti miliardi di vecchie lire, è diretto con mano professionale da Rosi che non riesce però a tradurre in un linguaggio cinematografico consono la potenza spirituale del libro di Levi. Rosi appare preoccupato di dare alla narrazione aspetti di spettacolo cinematografico, finendo per togliere composizione unitaria al film. Ne sono una prova le immagini di costume e di comportamento di alcuni italiani del gruppo, assolutamente negative, pacchiane, lontane dalla psicologia del momento storico in gioco che non consentiva divagazioni di buon umore goliardico nelle fresche postvittime.
Biagio Giordano

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La tregua, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-06-03T18:11:16+02:00da biagiord
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