Jurassic Park, recensione di Biagio Giordano

Jurassic Park di Steven Spielberg, con Sam Neili, Laura Dern, Jeff Goldblum, Richard Attenboroungh, Bob Peck, produzione Usa, anno 1993, durata 126 minuti.
Un anziano e ambizioso imprenditore miliardario americano (Attenboroungh), costruisce in una isoletta al largo della Costa Rica un grandioso parco divertimenti denominandolo Il Jurassic Park, (Dinosauroland). L’isola è popolata da rettili e volatili preistorici di varie dimensioni e specie che sono stati clonati dal Dna di animali preistorici estinti ricavati dal loro sangue contenuto nelle zanzare preservatesi nel tempo (milioni di anni) attraverso l’ambra della corteccia degli alberi.
Alcune informazioni genetiche inevitabilmente mancanti, a tratti, in un Dna così antico, sono state poi ricostruite con l’ausilio di un Dna di un rospo, conferendo quindi a quei animali preistorici caratteristiche per alcuni aspetti simili ai rospi (come lo sputo).
Film con effetti visivi stupefacenti, inimmaginabili fino a qualche anno prima, il film meraviglia e incanta come probabilmente già accadde con la prima pellicola della storia romanzata del cinema, quella di Melies: Viaggio sulla Luna.
Il film è anche pedagogico, perché critica a più riprese attraverso esperti biologici e scienziati in visita al Park e con un finale che sancisce il fallimento dell’opera scaturita dalla mente dell’anziano scienziato paranoico, il divertimento creato con gli animali preistorici riediti. La mancanza infatti di un ecosistema con le stesse caratteristiche di quello preistorico che conteneva gli originari dinosauri, non poteva che annunciare nell’immediato futuro un disastro di vaste proporzioni.
Insieme a Titanic, Jurassic Park, chiude, avviandosi verso la fine del millennio, un epoca indimenticabile: quella del linguaggio fotografico cinematografico applicato ai colossal, lasciando il posto nel terzo millennio al dominio dell’immagine video-gioco costruita in laboratorio.
Biagio Giordano