L’ultima risata, recensione di Biagio Giordano

L’ultima risata, (Der letzte Mann), di Friedrich Wilhelm Murnau, con Emil Jannings, Maly Delschaft, Max Hiller, Emilie Kurz, Georg John. Produzione: Decla/Ufa, Germania, anno 1924, film muto, bianco e nero, durata 75 minuti.
Gli anni venti in Germania sono gli anni dell’espressionismo cinematografico, un’arte visiva nuova che prendeva in considerazione ciò che non aveva ancora una voce estesa e che pur esisteva da tempo: l’inconscio. Un altro linguaggio, fondato su una logica inusuale, misteriosamente racchiusa tra le pieghe di una coscienza divisa.
Un linguaggio che Sigmund Freud riuscirà a decodificare rendendolo formulabile nel linguaggio comune. Grazie a un lavoro sull’interpretazione dei sogni che avrà riconoscimenti scientifici in tutto il mondo, gli effetti terapeutici della psicanalisi nelle sedute analitiche diverranno fondamenti di una nuova cura.
L’ultima risata pur non essendo un film di forte impronta espressionistica, ne utilizza però alcune le forme, quelle che portano a un impatto visivo un po’ più moderato, dando al razionale del linguaggio della coscienza dello spettatore la possibilità di interpretare efficacemente, e senza scosse, ciò che l’inconscio dei personaggi cifra in una logica altra.
Gli aspetti onirici si combinano con il linguaggio più diretto della comunicazione ampliando la composizione visiva del comportamento umano, arricchendolo di uno spessore psicologico e letterario enigmatico che suscita una curiosità di forte valenza anche spettacolare.
Il film. Grandi attività angolari, oscillatorie, acrobatiche della macchina da presa immessa su lunghi binari, autentica personalità aggiunta, che chiarisce con una vera e propria scrittura per immagini ogni emozione dei personaggi protagonisti delle scene: un lavoro artistico straordinario che riesce a rendere inutili le didascalie.
Biagio Giordano

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L’ultima risata, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2019-07-26T14:28:29+02:00da biagiord
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