Arancia meccanica, recensione di Biagio Giordano

Arancia meccanica

(A Clockwork Orange)

GB. 1971

Genere: indefinibile

Durata: 136′

Regia: Stanley Kubrick

Attori: Malcolm McDowell, Michael Bates, Adrienne Corri, Patrick Magee

 

 Dal romanzo (1962) di Anthony Burgess: in una Inghilterra dalle periferie molto povere,  Alex (McDowell) e i suoi 3 Drughi rifiutano il lavoro a vantaggio del piacere trasgressivo al sistema. La povertà sembra giustificare ogni loro azione malvagia, i 4 si dedicano alla vitalità artificiale che procura l’ultraviolenza, sopratutto quella diretta verso i deboli: le donne, gli anziani senza dimora, la famiglia senza autorità.

Torturano, rubano, umiliano, alla fine uccideranno anche, finendo in guai seri.

Alex tradito dai suoi compagni di banda è arrestato e condannato a 14 anni.

In carcere, grazie alla sua capacità di saper cogliere il momento giusto per mostrare, a chi di dovere, il suo coraggio civile e spirito di iniziativa attraverso il buon senso istituzionale-educativo praticato tra i detenuti, riceve un’offerta dal ministro della giustizia inglese che potrà garantirgli la libertà in tempi ravvicinati.

Si tratta di sottoporsi al trattamento così detto Ludovico (Beethoven) che punisce l’istinto aggressivo e omicida, grazie all’obbligo di assistere con gli occhi sbarrati a scene filmate di orrori di vario genere.

La cosa sembra funzionare, quelle scene gli ricordano, attraverso il suo Super-Io (giudizio morale inconscio erede del complesso edipico), quello che lui ha commesso negli stessi termini di violenza con gli altri.

Il senso di colpa conseguente lo porterà per un certo tempo ad avere un comportamento mite ma con  una volontà ferita, inibita, incapace di reagire alla violenza che inevitabilmente prima o poi ciascuno incontra nel proprio cammino.

Inoltre l’aver assistito, durante il trattamento, a una scena evocativa del suo rimosso accompagnata musicalmente da un brano di Beethoven (la nona sinfonia), da lui molto amato (quando lo ascoltava andava incontro a deliri di onnipotenza), rappresenterà all’uscita dal carcere il suo punto debole, perché quando sentirà, casualmente o meno, di nuovo quel brano, diventerà preda di pulsioni suicide.

Un film pessimista, che sfocia nel finale, nell’indeterminatezza, ossia nella affermazione sconvolgente  dell’anonimato della violenza, del fallimento di capirne le origini, dell’impotenza di poterla definire nelle sue cause. Essa appare a un certo punto dappertutto: nel conflitto periferie e centro, nel maschilismo fine a se stesso, nella lotta del singolo per la supremazia in una banda, nella famiglia incapace di autorevolezza, nella società benestante ossessionata dalla morte…

Un capolavoro travisato nel messaggio, sia dalla stampa sia dalla critica, troppo concentrate sull’intensità del male presente nelle scene e su un presunto suo significato facilmente decifrabile, ciò è impossibile in un film così difficile, fuori da ogni canone, in un’opera visiva che non appartiene ad alcun genere, tanto che ancora oggi non si riesce a raggruppare il film da qualche parte per dargli un nome, perché è una pellicola troppo originale, se non unica…

Fotografia: John Alcott. Musiche: Walter Carlos, Beethoven, Purcell, Rossini, Elgar, Rimski-Korsakov. Prodotto da Warner-Polaris Prod. (Kubrick).

Biagio Giordano

Arancia meccanica

 

Arancia meccanica, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2021-03-02T10:17:23+01:00da biagiord
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