Il codice Da Vinci, recensione di Biagio Giordano

Il codice Da Vinci

(The Da Vinci Code)

USA 2006

GENERE: Thrill. DURATA: 149′

REGIA: Ron Howard

ATTORI: Tom Hanks, Audrey Tautou, Ian McKellen, Alfred Molina, Paul Bettany, Jürgen Prochnow, Jean Reno, Etienne Chicot

 

 Film realizzato con un grande badget, e si nota. Girato a Parigi, Chateau Villette (Versailles), Londra, Scozia, Malta. Ispirato al romanzo (2003) di Dan Brown, (più di 38 milioni di copie vendute nel mondo).

Saunière, uno dei più colti collaboratori del Louvre, viene orribilmente ucciso per mano del mistico monaco Silas (Opus Dei), e il suo corpo disposto nudo sul pavimento in una modalità espiatrice. La vittima prima di morire riesce a rilasciare un messaggio cifrato scritto.

Robert Langdon (Tom Hanks) docente statunitense di simbologia religiosa, viene chiamato a decifrare l’accaduto. Lui e Sophie Neveu, ultima discendente dei Merovingi (V-VIII sec. d.C.), presente al Museo e venuta a contatto con il professor Langdon, sono però, stranamente, accusati di quell’orrendo omicidio e quindi ricercati dalla polizia parigina.

Intanto Silas, sicario agli ordini di Aringarosa, alto prelato dell’Opus Dei continua ad uccidere senza alcuna pietà.

La posta in gioco per cui si uccide in quel modo diventa, via via, la ricerca del Santo Graal, inteso non necessariamente come il calice di Cristo ma come la fonte (situata in una presenza umana ancora divinizzata erede di sangue di Gesù) da dove sgorga il potere di Dio sulla terra.

Thriller d’inseguimento altamente spettacolare, con riprese in movimento da tutti gli angoli possibili e impossibili rispetto agli spazi in campo, cosa da cui non poteva che scaturire, nello spettatore, una percezione di appartenenza, del tutto nuova alla realtà proposta dal film.

Movimenti della macchina da presa sorprendenti, vorticosi, lussuosi, seducenti, sopratutto per via della messa a fuoco e in moto di dettagli molto significativi mai banali che arricchiscono le scene dando spessore a una finzione  capace di travestirsi perfettamente da realtà drammatica e invadere l’inconscio dello spettatore per possederlo, facendogli perdere ogni senso di vero precedentemente acquisito…

Netto distacco dal libro, sia per intenzioni estetiche (lo statuto estetico del cinema è del tutto diverso da quello della scrittura su carta) sia per meccanismo narrativo e contenuti.

Per certi aspetti si ritorna agli anni ’40-’50, nei quali emergeva il grande regista Max Ophuls capace di far compiere alla macchina da presa imprese di movimenti fino allora impensabili, e finendo per inventare proprio per questo, nella maturità, una realtà autonoma di proprietà del cinema, qualcosa in grado di competere per due ore con la verità stessa della vita, quella scomoda, insolubile, che finisce per impedire di sognare e desiderare, così presente fuori dalle sale.

Fotografia sontuosa, ma di grande studio e applicazione tecnica, che rilascia spesso negli spettatori un piacevole, sottile capogiro…

Biagio Giordano

(nuovo commento gennaio 2021)

Il codice Da Vinci

 

Il codice Da Vinci, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2021-01-26T16:00:32+01:00da biagiord
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