Il seme dell’uomo, recensione di Biagio Giordano

Il seme dell’uomo, è un film del 1969 diretto da Marco Ferreri.

 Fine anni ’60, l’Italia si sta industrializzando velocemente come mai le era accaduto in passato, vanta autostrade che coprono ormai quasi tutta la nazione, e che sono collegate con le principali vie europee. Il modello di vita degli italiani sembra ormai segnato, destinato a un consumismo del superfluo, promotore di status sociali nuovi, ambiti dai più.

E’ un consumismo che stravolge le numerose identità culturali del territorio nazionale, in quanto il nuovo sistema economico si regge efficacemente grazie alle grandi immigrazioni del sud al nord e dalle campagne alle città.

La pellicola tratta di una coppia di giovani che dopo essere uscita da un Autogrill di una autostrada, e aver percorso qualche kilometro, viene a trovarsi improvvisamente davanti a un autobus fermo, messo di traverso sulla strada, che impedisce di andare oltre.

Scesi dall’auto i due visitano l’interno dell’autobus, e rimangono inorriditi da quello che vedono. I passeggeri e l’autista sono infatti tutti morti, inspiegabilmente…

Usciti, stupiti, dal mezzo pubblico scoprono di essere capitati in una zona di emergenza, desolata, dove all’interno di un capannone-ospedale, degli infermieri cercano di tenere in vita una persona colpita da un male misterioso, lo spettatore, che ha visto le immagini iniziali del film, pensa che forse è un’epidemia sorta a seguito di catastrofi atomiche verificatesi in un alcune parti del mondo?

I due giovani  ricevono l’ordine, dal personale dislocato in quel luogo, di allontanarsi, perché  privi di protezioni personali, e vengono anche genericamente informati che quanto è successo nel mondo potrebbe avere effetti fatali anche su di loro.

La raccomandazione inoltre è di rimanere nelle vicinanze, ritenute ancora un po’ sicure, magari prendendo possesso di una casa colonica rimasta disabitata per precedenti sfollamenti dovuti a situazioni pericolose poi divenute di minor rischio.

La coppia si sistemerà in una casa a due piani appartenuta a un abitante dagli interessi molteplici: orto, astronomia, letture di libri, artigianalità…La vita della coppia cambierà del tutto, la solitudine farà rivivere ai due la potenza vitalistica di uno dei più probabili dilemmi presenti nell’arcaicità dell’uomo.

Ossia, cosa scegliere tra vita basata sulla famiglia ed esistenza individuale o di gruppo vissuta nella piena libertà dei sensi…tra conservazione della specie attraverso una sessualità prolifica o spostamento dell’istinto verso la sublimazione, (per un godimento indisturbato delle bellezze presenti nel mondo e in noi stessi…) in altre parole, oggi: ritorno al consumismo o godere dell’essenziale a vantaggio di una vita poetica e artistica?

Marco Ferreri con questa opera di alta drammaticità, supera se stesso. Egli usa in modo geniale ciò che paradossalmente appare come fantascienza surrealista, nel mentre invece si sostanzia come dispositivo letterario in grado di denudare ciò che gli appariva troppo coperto, ermetico, irriconoscibile nella pseudo cultura del consumismo fine anni ’60, un male profondo, oscuro, una alienazione incosciente del cittadino comune, polarizzata con un opposto, la coscienza, che riguardava l’ineluttabilità della vita sociale, cioè l’impossibilità di vivere altrimenti, (magari senza devastanti competizioni), come invece da sempre suggeriscono l’arte e la poesia…

Biagio Giordano

Il seme dell'uomo

 

Il seme dell’uomo, recensione di Biagio Giordanoultima modifica: 2021-05-11T09:28:55+02:00da biagiord
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