L’eros e il buon uso della collera, di Maria Vittoria Lodovichi, psicanalista di Milano

 

LA COLLERA E L’IRA

 

L’ira scatena la collera, la collera biliosa spinge il soggetto all’ira o verso se stesso o verso l’altro, l’incontrollabilità dell’atto la si reperisce nella pulsione
carica di Eros ma anche di Thanatos.

Caino e Abele, Romolo e Remo, Achille e Agamennone, Medea e tutte le dee e dei dell’Olimpo, che divengono nostri miti, sono lì a testimoniare quanta violenza vi sia nell’uomo sia psichiatricamente diagnosticato folle, sia in quello “così detto” normale.

Quale dinamica, quale logica scatena l’atto iroso prima e collerico dopo nel rapporto fra due o più persone? Da quali spinte interiori si muove questo gesto. Cosa spinge tale assalto? Colui che muove e dà inizio all’atto iroso ha un tornaconto di economia psichica e dinamica. Ha bisogno di uno sfogo per un sopruso ricevuto, accecato dalla gelosia, fraintende una parola o un gesto nel partner, e sfoga la sua ira sul primo che capita ma, più spesso, questo sfogo necessita di una persona amata della quale si fida.

Colui che ascolta, che subisce come testimone, rivive attraverso un tratto, portato in campo dall’altro, quello che fu per lui l’alienazione peggiore, ha l’occasione di vedere se stesso messo in quello stato d’animo da cui i suoi sintomi cercano con tute le forze di tenerlo lontano. Ma quando i fantasmi inconsci prendono il sopravvento, il soggetto è spacciato, messo al muro.

L’iroso pensa nel litigio che il testimone, caricato di quelle identificazioni, sia proprio colui che ingenera lo stato collerico. Invece, ognuno per diversa via raccoglie la frustrazione massima della propria storia.

Definizione del dizionario

L’ira è emozione violenta, e talvolta rabbiosa che si manifesta con atti e parole di aggressività, incontrollata, di astio, di risentimento che tende alla vendetta o alla punizione contro la persona o il fatto, la circostanza, il motivo che ne ha determinato l’insorgere; la collera, rabbia, furore (secondo la teologia morale uno dei sette vizi capitali); anticamente erano considerati una demenza parziale.

Collera (ant. Còllora, còlora,letter còlera) Nel senso originale: bile (gialla o verde), umore bilioso (che si riteneva uno dei quattro componenti la massa sanguigna).

Ira[1] e collera sono oggi due parole meno usate che in passato, viene preferito il termine rabbia ed ancora più diffuso “dell’essere incazzato” con il quale si coinvolge il corpo e si dà l’idea di un passionale travolgimento. Nel quale non ci sfugge il senso del primato del fallo.

E’ da considerarsi una perdita il disuso di questi due termini così efficaci e così letterariamente caricati di quella potenza che li supporta. Perché li abbiamo rimossi?

Riporto alcuni riferimenti letterari famosi:

Dante Alighieri, Inf., 3-26. Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d’ira /voci, alte e fioche, /e suon di man con quelle / facevano un tumulto.

Andrea da Grosseto, L’ira turba sì l’animo che non può discernere la verità.

Jacopo da Benevento, (XII sec.), ira è vizio del quale nasce capiglie e indegno di mente, vituperi d’altrui, grida e indegnamento, bestemmia, poca sofferenza, essere di proprio senno, omicidio, odio.

Giovanni Boccaccio, L’ira quale niuna altra cosa è che un movimento subito e inconsiderato, da sentita tristezza spinto.

Libro delle sentenze, L’ira è una corta pazzia.

Bisaccioni, Tutti gli altri affetti del senso, come l’ira, l’avarizia, la maldicenza, il dispettoso contrastare.son tutte sensualità d’imprudenza e d’indecoro.

Carlo Cassola, Fu preso da un’ira irrefrenabile che si mise a dar pugni nel muro.

Giorno dell’ira, giorno del giudizio universale.

 

Prime definizioni psicanalitiche

La psicanalisi definisce pulsioni i moti dell’inconscio che rivelano le spinte verso il nostro bisogno o desiderio. Queste pulsioni sono a volte incontrollabili.

La collera è una oscura rivolta dell’essere contro ciò che lo minaccia e che gli pare venga da un fuori o un dentro esorbitante, gettato al lato del possibile, del tollerabile, del pensabile. Vicinissimo ma inassimilabile. Qualcosa sollecita, affascina, inquieta il desiderio.

Le pulsioni aggressive sono di grande utilità per l’uomo, ne fa uso nell’atto della nascita, nella malattia come reazione per la sopravvivenza, nella lotta che il sociale presenta in ogni epoca.

La collera dal viso rosso è meno pericolosa dall’ira dal viso pallido. In quanto il rossore sul volto fa pensare ad un conflitto, che si sta svolgendo all’interno di quel soggetto in via di risoluzione mentre, la collera, che nasconde il viso nel suo pallore, è pericolosa per la sua insensata esplosività.

Infatti la vasodilatazione, da cui il rossore, è indice di una prevalenza dei circuiti cerebrali più evoluti ed è il risultato di un conflitto tra l’istinto aggressivo e il controllo delle emozioni.

Il pallore è invece dato dalla vasocostrizione: in questo caso l’adrenalina viene immessa nel circolo sanguigno, il sangue è tutto concentrato negli organi vitali, il corpo è quindi pronto per un attacco; a prevalere sono i circuiti cerebrali cosiddetti primitivi e il soggetto si trova in uno stato di aggressività estrema, al di fuori di un controllo razionale.

L’ira e la collera spesso chiamano in causa la vendetta come ad esempio nel tema della vendetta nello opera “Rigoletto” di Giuseppe verdi. “Si, vendetta, tremenda vendetta” è accompagnata da una musica che magistralmente esemplifica il ritmo incalzante di tale emozione.

L’erotica della collera ha di sua natura un ritmo incalzante, a volte, modulato come in un duetto, in altre è addirittura parossistico. Anche l’uso degli arti partecipa a quello sfogo, dandole maggiore rappresentazione, come se davvero la scena acquisisse valore teatrale.

Litigare per poi far pace sono e rappresentano l’eterno gioco degli amanti, ma anche fra familiari, fra fratelli e fra condomini.

Ci ricordiamo l’ira funesta di Achille, obbligato da Agamennone a rinunciare alla schiava Briseide.

La letteratura, dalla tragedia greca in poi, ha sempre rappresentato il tema della collera e dell’ira come parti essenziali della vita e in opere che potremo definire “eterne” e che hanno strutturato il nostro modo di sentire e di vivere.

La stessa legge nasce a partire dal contenzioso, dal non riconoscimento, dal non intendersi, dal supporre di subire una ingiustizia, dal vivere un tradimento.

Spesso ai miei pazienti, quando parlano dell’amore per l’amata, chiedo se, con altrettanto impegno, hanno imparato a litigare. A sostenere la collera e l’ira sia propria che dell’altro. Se hanno imparato a conoscere ciò che scatena in sé stessi e nell’altro lo sproloquio, l’invettiva. E’ una domanda lecita in quanto noi reagiamo sempre allo stesso modo e sempre chiediamo ascolto e attenzione all’altro.

E’ sempre sul mancato riconoscimento dell’altro che nasce il primo stadio del disagio, del dispiacere e del dolore. E’ anche questo che suscita ira e collera.

Freud, padre della psicanalisi, teorizza le pulsioni dividendole in Pulsioni di vita, che fa guidare da Eros, dio dell’amore e, pulsioni di morte supportate da Thanatos.

Sembrerebbe impossibile pensare alla collera come elemento perno in alcune situazioni familiari e di relazione. La clinica psicanalitica dimostra che la collera e l’ira nella relazione amorosa, a volte, crea un legame speciale. Squaderna passioni e domande che altrimenti non sarebbero possibili sia per inibizione che per senso comune del pudore.

E’ la fantasia di uno dei partner che spesso fa da guida all’altro, forse all’inizio con una certa riservatezza, ma successivamente con grande partecipazione.

E’ la rappresentazione inconscia che fa da supporto a quella danza sincopata di quella richiesta sessuale così unica e speciale che, non per caso, è frutto del lavoro dell’inconscio.

Viene in mente la splendida danza d’amore, carica di sfida e gelosia, tremenda nelle parole che sfidano la collera, nella Carmen di Bizet[2].

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Ma dobbiamo posizionare le coordinate teoriche per dare ragione a queste costruzioni che si desumono dalla clinica.

Come percepiamo l’erotismo, in che modo il narcisismo ci avvolge, come mai siamo così egocentrici e perversi? Rassegnamoci, non esiste la così detta “normalità”.

Una risposta ai nostri interrogativi può essere fornita da un percorso di analisi psichica.

Dobbiamo tornare all’inizio del nostro percepire e “desiderare”. Non perché la nostra vita la si possa raccontare da capo e non perché si sia fatti per fasi, ma perché un’analisi inizia da dove può e certamente dalla parola più dolorosa che il paziente porta.

Che cosa domanda l’erotismo per essere tale? Da dove prende l’avvio, chi sono i partecipanti e quali sono le domande strutturali che lo mantengono?

L’erotismo richiede da una parte la violenza, dall’altra la trasgressione contro il referente simbolico, che si rintraccia nella figura del “padre”, quel padre che in ogni civiltà, tramite il legame sociale, si costituisce come riferimento totemico, sia nella forza, nell’arguzia che nel potere. Peraltro al giorno d’oggi questa immagine del padre sta cambiando. Questo non significa che dobbiamo rimpiangerla, ma bensì leggere quello che del padre è rimasto.

L’erotismo si rintraccia sul corpo, sul quel corpo che al soggetto si impone come corpo psichico, nella forza pulsionale che lo conduce nelle vie del desiderio, del godimento e del piacere fino al suo opposto dispiacere, dolore e collera. Il corpo ci è dato e il nostro Io non riesce, troppo spesso, a comprenderlo. L’Io non è padrone in casa propria, dice Freud. A volte le due pulsioni entrano in collisione, creano ingorghi psichici come per alcuni pazienti psicotici, che compiono gesti d’ira incontrollati e del tutto inconsci che oggi sono in notevole aumento. Dall’ira all’uccisione dell’altro, a volte il passo è breve.

L’ira è sempre salvifica? Sicuramente no se si passa dall’ira all’abiezione.

Il soggetto che non ha capacità relazionale, che non ha parole per spiegare il suo stato d’animo, non ha immagini psichiche che lo sostengono prima o poi esplode in un gesto nel quale si rivelano i suoi fantasmi muti, il suo dolore più volte espresso in un modo complesso, difficile da essere compreso e intuito. Spesso sono gli stessi familiari che non riescono ad accorgersi di quel cambiamento che gradatamente esilia, allontana il soggetto da se stesso e lo porta a vivere in un mondo proprio, dove il pensiero persecutorio è ormai senza controllo, dove le immagini si moltiplicano in compulsioni e desideri parossistici, covati, pensati, architettati. Lì, si è oltre l’ira, si è nell’abiezione.

La parola il linguaggio, da intendere come il primo taglio fra il bambino e il corpo della madre, nasce per dare parole al proprio dolore, all’angoscia ma anche al piacere.

Freud scoprendo l’inconscio, teorizza un apparato psichico non riconducibile al corpo, come è comunemente inteso, ma a quello osservabile nelle strutture del linguaggio. E’ infatti il linguaggio la leva della cura psicanalitica. La nozione stessa di malattia psichica tende ad identificarsi con una delle potenzialità logiche immanenti ad ogni “apparato psichico”, ad ogni parola chiave di quel soggetto. L’insistenza sul senso, l’utilizzazione della parola erotizzata nel transfert rimangono il segno di riconoscimento essenziale di questa avventura singolare che è la scoperta freudiana.

Erotismo e collera

Ho preso in considerazione questi due temi: erotismo e collera in quanto nelle domande che i pazienti oggi pongono sembra abbiano smarrita quella speciale intimità con se stessi, con una propria vita, che un tempo poteva essere definita “ricerca interiore”.

L’uomo moderno sta perdendo la sua “interiorità”, quell’interrogativo morale che apriva il discernimento al senso del bene e del male. Ma non sa di questa perdita, perché è proprio l’apparato psichico che registra le rappresentazioni e i loro valori significanti per il soggetto, che oggi non riesce a ricevere dal linguaggio e dal sociale il senso per esprimersi con le parole.

Una nuova umanità

La vita psichica dell’uomo moderno si situa ormai tra i sintomi somatici e la trasposizione in immagini stereotipate dei suoi desideri. Questa modificazione della vita psichica prefigura forse una nuova umanità. Questo tragitto è disseminato di insidie. Difficoltà relazionali e sessuali, sintomi somatici, impossibilità di esprimersi e disagio generato dall’impiego di un linguaggio che, passando spesso tramite i mezzi tecnologici, si finisce per sentire “artificiale”, “vuoto”, o “robotizzato”. Ecco che il ritorno al corpo nella relazione è oggi invocato.

Ma sotto i comportamenti isterici e ossessivi trapelano presto le impossibilità degli psicotici a simbolizzare traumi insostenibili. Gli analisti nella traslocazione su di sé di questi nuovi disagi tengono conto di “narcisismi feriti, di false personalità, di stati limite, di psicosomatiche, stalking. Al di là delle differenze di queste “nuove malattie”, ciò che le unisce come denominatore comune è la difficoltà a rappresentare: questa carenza della rappresentazione psichica intralcia la vita sensoriale, sessuale, intellettuale e può danneggiare il funzionamento biologico stesso, mediante la somatizzazione.

La collera e l’ira si originano spesso nello stesso soggetto che le lamenta o le soffre e sono causate da rimuginamenti di pensiero persecutorio, che il soggetto rivolge a se stesso. E’ la costruzione di una “scena penosa” nella quale il soggetto si sentì non riconosciuto ed esiliato.

Oggi, in questa epoca di globalizzazione l’essere umano è come sommerso da una quantità infinita di oggetti e in questa si perde escludendo l’orizzonte, quale punto mitico sul quale collocare il presente, seppure di una illusione.

Possiamo chiederci: “chi ci permette di guadare quella linea immaginaria sulla quale collocare il filo della propria storia, costruita mediante rappresentazioni e affetti, sia dell’amore che dell’odio?”

La madre è la nostra finestra sul mondo, è tramite il suo volto guardato dal bambino, che giorno dopo giorno questo spazio vitale prende forma, se quella madre lo desidera per il proprio bambino. Il diventare madre è avviato nella bambina fin dal tempo delle sue prime mestruazioni. Il reperire il materno in se stessi è un processo che attraversa la genealogia femminile di quella famiglia. Di madre in madre madri si diventa ma con tratti particolari e mai omologabili.

Il materno non si esprime soltanto con la generatività ma anche attraverso quell’opera alla quale quella donna dona la sua affettività e fantasia. Il materno è esperienza sferica, vale a dire che facendo perno su se stessa se da una parte scopre il bene dall’altra rivela il male. I figli possono essere accolti o rifiutati e, davvero, la vita di ognuno dipende dal momento nel quale quel soggetto è stato generato.

La perdita dell’estro femminile, l’avvento della pillola hanno dato a questo atto la potenza illusoria di una decisionalità soggettiva.

La generatività è un patto che sembra naturale in realtà è sempre il corpo psichico, l’inconscio a determinarne il mistero e la fattività di quell’ evento.

L’inconscio porta al soggetto il suo sapere percepito dal corpo pulsionale, dalla parola e dalla fantasia che da esso si desume. L’inconscio si struttura come un linguaggio. E’ un sapere paradossale ed essendo diverso per ogni soggetto, non è estendibile e comprovabile ad una verifica scientifica. Rintracciamo l’inconscio attraverso i sogni, i lapsus e i motti di spirito. In ogni richiesta di analisi si coglie il punto doloroso di quella domanda che prende l’avvio da una inibizione, da un sintomo o dall’angoscia. L’espressione di quel lamento viene ascoltato dall’analista e “traslocato” sulla sua persona, viene successivamente restituito, con quella portata di senso e fondamentalmente di affekt che all’inizio pareva non decifrabile.

La struttura dell’inconscio può essere nevrotica, psicotica o perversa, secondo la definizione Freudiana.

I nevrotici rimuovono gli atti penosi, ma questa rimozione non può funzionare per sempre. Prima o poi la “scena dolorosa” emerge, togliendo da questa rappresentazione l’affetto che ad essa era accompagnato, causando forme di angoscia, che suscitano nel nevrotico “rimuginamenti, narcisismi, permalosità.

Gli psicotici invece rigettano la relazione con le proprie rappresentazioni, trovandosi di fronte ad un abisso esistenziale.

La struttura perversa gode della rappresentazione, purché si infranga una legge, una regola, potendo così sconfessare la capacità del padre di far piacere o godere la madre.

Il lavoro dell’inconscio inizia nel grembo della madre, in quel rapporto biunivoco nel quale nutrimento, sogno e pensiero si interscambiano. Anche prima della nascita di quel bambino la madre, il padre i nonni, spesso ne hanno già narrata la storia.

Appropriazione del corpo erotico

Il tempo dell’allattamento permette nella relazione madre bambino che egli “si appropri” attraverso l’odore, la voce, il gusto, l’oralità, il tatto e lo sguardo il Codice erotico che passa sull’organo più esteso che è la pelle. La pelle memorizza il vasto e intenso mondo di quella relazione, matrice della trasmissione sensuale e affettiva. In questo senso l’Altro di sé, (scritto con la lettera maiuscola) che ogni soggetto, prima o poi si realizza, seppure in modo inconscio, è rappresentato dalla madre.

Dalla sua il bambino dopo aver ricevuto il nutrimento, tramite il seno, offre alla madre le feci come “dono” per il nutrimento che ha ricevuto. Avviando così la logica del tenere e del rilasciare. Si comprende bene come questi scambi “oggettuali” verso uno che subisce e l’altro che decide, possono contenere difficoltà complesse, che definirei orme affettive, quasi stigmatizzate sulla pelle del corpo.

La voce che sgrida e che consiglia

Da parte sua la madre è spesso certa di ciò che sceglie per il bambino e del resto egli non è nella condizione di dire la sua. Per questo, è per tutti molto difficile definire ciò che ci piace, ciò che si desidera e spesso anche ciò di cui si ha bisogno. Le parole per dirlo, furono pronunciate con quella certezza o perentorietà, oppure indifferenza o ostinato mutismo e così esse giungono dentro il nostro corpo che torna, negli anni successivi, a ri-coniarle, vale a dire, passando proprio verso quelle sillabe, consonanti, sibilanti quel: copriti, stai attento, non macchiarti, non bere troppo di fretta, lavati etc. si imprimono in ciascun soggetto e affollano per sempre sia che siano state pronunciate, sia che in forma di dirompente silenzio. La madre occupa il corpo psichico del bambino con la sua misura, con la sua cifra di affetto e difficilmente si presenta in una quantità equilibrata.

La voce delle madre diviene per noi un “oggetto” amato, odiato, sopportato. Anche strumento di paura, timore, terrore, se reperiamo sul corpo una manifestazione insolita. Se l’idea di una malattia ci colpisce, è subito l’appello alla vita, alla madre che ha in noi il sopravvento.

Il ritmo di Eros e il kairos di Thanatos

 

L’ombra del suono, il ritmo, il respiro, che hanno “danzato” all’unisono per nove mesi, a volte rivelano e rimangono nel soggetto come fili intermittenti che a volte trovano una modulazione propria, altre volte hanno come richiamo lo spettro del fantasma massimo: l’alterità. E’ questa la parte della sfera del male che la madre porge ad ogni figlio, essa contiene quel sapere che spaventa anche la madre stessa e che è la radice dell’alterità: la morte percepita come trauma estremo, opposto, ma con alcuni collegamenti con quello della nascita.

L’amore per la madre è certo dalla parte del bambino senza possibilità di replica, anche perché ne va del suo sostentamento e vita.

La madre è per il bambino e la bambina primo oggetto d’amore.

L’eros in cambiamento,

Infatti, nella bambina il salto dall’amore primario, primitivo per la madre all’interesse per il padre è ciò che la rende diversa dal maschio che di solito ama la madre e successivamente nella vita incontrerà ancora una donna come oggetto di interesse.

Il padre: l’ostacolo erotico

Va precisato che il Padre, che per eccellenza è colui che non permette, simbolicamente,  ai figli l’accesso totale alla madre, è per il maschio e per la femmina figura di lotta per il superamento edipico. Infatti, egli per la posizione che la società gli riconosce, rappresenta, dando il cognome alla discendenza, la dinastia nel sociale.

Oggi il padre non ha più questo riconoscimento, l’opinione pubblica, glielo ha in qualche modo spostato, alleggerito. “Padre evaporato”, Padre disattento, Padre lontano, Padre separato, Padre in affitto è, addirittura, ri-emersa la figura di Telemaco, cioè colui che attende, attende per molto tempo l’arrivo del padre, tenendo “qualcosa” che la madre ha riportato come citazione e “tenuto” come suo bene, come suo oggetto.

L’eros tenuto nell’attesa

Viene in mente Penelope e, leggendo i capitoli  dell’Odissea, che riguardano il ritorno e il racconto di Ulisse, la si coglie in tutta la sua portata di donna che ha saputo attendere con il figlio, che ha saputo superare le tentazioni. Infatti Ulisse la sera del ritorno le racconta come il loro talamo sia sostenuto da una cintura di pelle rossa per tenere insieme vicine le assi del famoso letto. A quelle parole Penelope illanguidisce, avverte un cedimento che parte dalle sue ginocchia. La voce di Ulisse evoca nel presente e rinvivisce l’amore che lei provava per lui.

La mediazione erotica

Oltre il padre che ci ha generato ciascuno di noi incontra poi, nella vita molti altri padri per esempio nelle figure dell’insegnante e in quelle persone adulte che offrono all’altro un affetto, una esperienza. C’è il padre simbolico che è fatto di quell’insiemi di padri che nel sociale mi hanno fatto essere quello che sono.

La madre come “oggetto” simbolico è immemore, fa parte di noi, la reperiamo sul piano simbolico, lasciandole il posto; nell’immaginario con il nostro “rimuginare” su di lei, il nostro costruire fantasie per noi di lei, fino ai più efficaci fantasmi. C’è poi la madre reale, ma qui, si entra nello specifico dell’esperienza di ciascun soggetto nel quale, il reale di un incontro è sempre connesso al trauma, all’imprevisto, all’impreparato, all’impensato. Di quel vissuto soltanto aprés-coup possiamo saperne.

Quando il soggetto incontra il corpo. La sessuazione? Faccia a faccia con Eros

Questo rapporto simbiotico con la madre come si può supporre, rende difficile e ardua la via verso la percezione di un corpo proprio e necessita di identificazioni complesse. La più difficile è la prima definita a specchio nella quale il bambino inizia a percepirsi come un altro da sé stesso. E’ di solito la madre che sorridendo al bambino gli fa comprendere, attraverso un idea giubilatoria, che a quel bambino nello specchio lei sorride, ma lui ride in quanto si trova di fronte ad una prima scoperta.

Le origine della rivalità

L’essere umano all’inizio pensa che l’uomo sia dotato di attributo sessuale, ma unico. Viene considerato ciò che detiene il padre, che soddisfa la madre, sia quella l’unica sessualità. E’ infatti il padre che non permette, al figlio, come dicevo prima, l’accesso totale alla madre. E’ lui che dorme con lei, è lui dunque colui con il quale si deve fare i conti ed è lui che suscita nel bambino rivalità, gelosia, attaccamento e amore.

L’idea dell’uccisione del padre e la nascita dell’odio per la propria disubbidienza

Da qui l’idea di una unica sessualità, di un padre che la psicanalisi considera nel mito primordiale, il padre della legge del taglione, che rintracciamo anche nella religione ebraica. Nel mito di ciascuno nasce poi l’idea che vi sarà una specie di salvamento tramite il fare coesione con i fratelli per ucciderlo o destituirlo. In un secondo tempo il padre rappresenta la legalità, diviene il padre con il quale, come fu per Edipo, dovremmo anche noi attraversarne le gesta fino alla disubbidienza ed alla scelta, con senso di colpa, di un esilio. Così, imparando a superare le forti angosce per riuscire si diventa soggetto autonomo. Ma è la madre che con la sua voce e le sue parole costruisce, agli orecchi del bambino l’autorevolezza o per opposto la mancanza di stima per il padre. Il bambino ricevendo per sé l’investimento libidico della madre pensa di essere per lei, tutto ciò che desidera. Ma quando la madre fa arrivare agli occhi del figlio la presenza del padre, cioè quando mette nei discorsi quotidiani il discorso del padre il bambino è costretto a chiedersi che “cosa desideri questo Altro”.  Qui deve attivare ed esercitare un’attività interpretativa.

Nella misura in cui si chiede questo, non può più dare la semplice risposta di essere lui l’oggetto del desiderio della madre per cui si costituirà una ulteriore, conseguente interrogativo: “cosa vuole l’Altro da me?”

La pretesa sconvolgente

Attraverso il simbolo fallico l’interrogativo “Cosa sono io per l’Altro?” assume immediatamente nel soggetto umano, una valenza sessuale. Per questo la psicanalisi pone nel cuore dell’Edipo il problema dell’assunzione sessuale.

Il Nome- del- Padre collegato alla parola della madre farà collegare al bambino il desiderio della madre rivolto al fallo, costruendo una sorta di semplificazione del rapporto fra i genitori. In un primo tempo il problema è che alla madre manca del fallo. Il bambino rinuncia solo con fatica e dopo innumerevoli osservazioni alla credenza che la madre possieda il fallo.

Il limite e il desiderio sessuale

Il tempo della comprensione della verifica, non per caso si definisce castrazione e si riconduce al tema della mancanza del fallo; la castrazione consiste in una mancanza in cui l’elemento in gioco appartiene al piano sessuale.

E’ quindi, il così definito “fallo”, derivante dall’idea mitica del padre preistorico, che viene a rappresentare quel sessuale verso il quale tutti vorremmo godere sia nella protettività della potenza, sia della soddisfazione della protezione. Quel “fallo” è quello stesso che il bambino suppone soddisfi la madre.

Il pene, non è il fallo ma è dei due sessi, quello che più gli assomiglia di più.

Che i sessi siano due è scoperta travolgente

E’ nel percorso edipico, nella traversata che ci dà l’autonomia corporea, che nasce l’idea che i sessi siano due, e ne consegue la responsabilità dell’acquisizione di un sesso.  Anche nell’omosessualità si impone una scelta non facile seppure rivolta ad un soggetto omologo.

I sessi sono due e attraverso la così definita castrazione si scoprono nel proprio corpo insieme alla responsabilità che essi comportano per la generatività.

Per il bambino la castrazione rivolta al padre è decisiva e, se sarà raggiunta, lo sarà a livello irreversibile, per la bambina è rivolta alla madre ma, a differenza del maschio avrà invece di una castrazione un taglio rimarginabile che Freud definisce appunto un tramonto. Quell’identificazione, vale a dire, che il taglio con l’identificazione sessuale alla madre, non è dato una volta per tutte ma è ciclico come il tramonto e l’alba.  Da qui nasce la capacità elaborativa della bambina, la sua forza consiste nel farsene un racconto, che è sempre racconto d’amore unito a fantasie.

Il ritorno di Eros nella donna

Di solito sono le donne a dare con le parole all’uomo il motivo dell’amore che essi provano per loro.

L’autoerotico

La conoscenza della masturbazione, il valore del tatto, la conoscenza della pelle come organo erotico nasce con il tatto della madre sul corpo e poi prosegue come scoperta con le proprie mani. L’infante, il bambino e l’uomo e via fino all’anziano la masturbazione, fatta per ciascuno a modo proprio, incontra il tatto e con esso il piacere che si evolve dalla carezza, allo struscio, al toccamento ritmico, allo sfregamento fino alla masturbazione vera e propria nelle parti genitali o su altre parti del corpo ritenute zone erogene.

Il piacere si raggiunge attraverso i nostri sensi: la bocca, l’olfatto, l’udito, l’occhio, lo sguardo e il tatto possono fare di questi una passione, un uso abusante o infine un buon uso. Pensiamo alla funzione dell’occhio, alla relazione del soggetto con il proprio occhio e alla capacità percettiva di guardare, diversa dal vedere. Possiamo con l’occhio decidere di farne una professione tramite l’oggetto macchina fotografica.

Eros e racconto

Il piacere è un principio caro alle donne che sanno farne uso anche nell’atto sessuale, rinunciando a volte allo stesso orgasmo è poco conosciuto dall’uomo essendo egli legato al piacere sessuale soltanto grazie all’orgasmo. La donna non è definibile in un insieme dal punto di vista psichico, ogni donna soltanto se lo desidera può farne dono con un racconto.

L’atto sessuale nel ricordo della lotta che fece il bambino e l’inizio della costruzione erotica

Quali che siano le messe in scena o le fantasticherie che lo decorano, l’atto sessuale è sempre accompagnato da un momento trasgressivo, la cui opacità deriva dall’omicidio fantasmatico. Poiché il padre si è opposto al primo slancio erotico, c’è bisogno di andare oltre; da allora quell’atto è diventato condizione presente in ogni eccitazione. Ma come può un fantasma omicida produrre un effetto erotico? In effetti, perché opporsi al rivale dovrebbe essere eccitante, quando ne risulta la disfatta come nel caso del bambino con il padre? In realtà anche se il bambino ha perso nel confronto diretto con il padre, nel pensiero, al contrario ha vinto, secondo diversi scenari di propria invenzione. Nell’ideazione con fantasia, e per riportare la vittoria, il bambino si è calato nel ruolo del tutto simile a quello del padre, immaginando una potenza pari alla sua, sicuro di possederla insieme al suo nome.

La collera

La collera si sprigiona in tutti i soggetti in forme differenti. La collera che si esprime con le parole, con il turpiloquio, con il gesto dello spingere l’altro, con la danza sincopata a ritmo serrato verso l’altro, con l’avvio della mano che percuote il corpo dell’altro, che lo stringe, che lo serra, che lo soffoca.

A parte le fasi estreme della collera vi è anche una collera erotica che si manifesta nell’atto del corteggiamento e che, nelle espressioni di alcune adolescenti, sembra essere quello più gettonato su face book.  La spacconeria adolescenziale sembra sfidare il can che dorme.

Vi sono casi nei quali invece, proprio quella rappresentazione di collera, è stimolata dal partner, fa parte di quel percepire sul corpo, quello che la psicanalista Melania Klein, definisce nel bambino il mordere del seno, il prendere il capezzolo con le mani. La madre diviene, oggetto corpo, referente della madre buona e cattiva.

Possiamo pensare ad un buon uso della collera?

La clinica conforta l’idea che si possa venire a patti con i propri atti, spinte pulsionali, sentimenti interiori che portano all’attacco verso l’altro. Se una persona, decide di elaborare in analisi tale impulso e lavorando su se stessa intuisce il proprio narcisismo riesce a elaborare quel sintomo. In tal caso quell’angoscia si trova in un ingorgo speciale, nel quale, perlomeno per una volta, il soggetto intravede, nell’atto che pratica una perdita nella realtà, magari di una persona davvero cara o di un oggetto di desiderio importante. L’analisi permette la rielaborazione e la visitazione di quella scena dolorosa che causò la rimozione.

Tipica è la collera dell’adolescente che magari manda i genitori al diavolo, oppure sbatte la porta, o esibisce una collera per dover subire un divieto. Vuole affermare se stesso ed esibisce una autonomia sfacciata e provocatoria.

La collera della persona che abusa di alcool o sostanze stupefacenti è più complessa in quanto spesso è unita alla vergogna della dipendenza, ma il bisogno a volte è così potente che addirittura prevarica l’atto collerico per diventare atto criminale.

La collera, l’ira è ascoltata nella cura psicanalitica, così come viene ascoltata la follia nella sua narrazione unita alla fertile disperazione che certe vite incontrano. Il lavoro transferale snoda il senso mancato, decostruisce le fantasie connesse, restituisce quella parola perduta.

Concludendo

La collera si connette al “tratto” paterno che struttura il complesso edipico, maschile in un modo e femminile in un altro. E’ un “tratto” che si lega all’erotismo e in particolare alle attitudini passionali in cui tutti i forti affetti pregiudicano l’associazione e il decorso delle rappresentazioni.

La collera va intesa come un “oggetto” che ogni essere umano fin dal suo inizio cerca, come si cerca il seno della madre. La collera e il suo opposto si legano eroticamente e avviano il proprio sentire sul corpo attraverso le pulsioni, (moti inconsci), che dominano il nostro Io.

L’esperienza di una domanda di analisi può far comprendere al soggetto come comprendere quelle pulsioni che sembrano ostacolargli la vita.

 

 


[1] Il concetto di collera è articolato a partire dalla recente pubblicazione di Gérard Pommier, il buon uso della collera, Raffaele Cortina, Milano 2013.

[2] Habanera, famosa danza spagnola (Barcellona e Alicante) interpretata da Carmen sulle famose parole “L’amour est un oiseau rebelle”.

 

L’eros e il buon uso della collera, di Maria Vittoria Lodovichi, psicanalista di Milanoultima modifica: 2014-05-26T13:47:06+02:00da biagiord
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